UDINE, ITALY – APRIL 19: Bruno Fernandes (L) of Udinese Calcio scores his team’s first goal during the Serie A match between Udinese Calcio and SSC Napoli at Stadio Friuli on April 19, 2014 in Udine, Italy. (Photo by Dino Panato/Getty Images)
Riesce a dare i numeri solo se glielo chiedi. È uno razionale. «Due partite», per la salvezza virtuale dell’Udinese. «Dieci», il voto per esprimere la rabbia che monta in vista di un appuntamento da saltare, quello di domenica con la Samp. Peccato perché dopo il Bruno Fernandes show contro il Napoli e quei due gol c’era attesa per il bis di questo moderno Ragazzo della via Gluck. Ricordate? Là dove c’era l’erba, ora c’è una città: «Vengo da Maia, ho cominciato prestissimo a giocare tra i palazzi, per strada, con i ragazzi del quartiere. Ero un bambino». Due porte fatte con gli zainetti, un pallone spelacchiato, la suola delle scarpe consumata a furia di calci sull’asfalto: «Tra i miei amici di allora nessuno ha imboccato la carriera da professionista, qualcuno gioca nelle serie minori portoghesi o nel futsal. Io invece ho insistito, d’altra parte questo sport è una tradizione di famiglia». Qualche parente da citare? «Mio cugino Vitor Borges che ha giocato nella massima serie del Portogallo con il Boavista, ma il calcio ce l’abbiamo tutti nel sangue. L’ha praticato a buon livello mio fratello, così come aveva fatto prima mio padre». Abbiamo parlato delle prime partitelle tra amici, quando invece le gare ufficiali? «Sono stato tesserato dal Boavista e lì ho giocato le mie prime vere partite, anche con la prima squadra, visto che in quel periodo il club stava ancora pagando per la retrocessione a tavolino per poi finire in Segunda Divisão». Si tratta di un club che, nonostante le vicissitudini degli scorsi anni, in passato si era fatto conoscere anche in Europa. Ma il ragazzino Bruno Fernandes per chi tifava? «Per il Boavista! E visto che i colori sociali sono il bianco e il nero, a scacchi, si può dire che l’Udinese era nel mio destino. Ero un bambino di sette anni quando il Boavista vinceva il primo scudetto della sua storia». Una rarità per un portoghese nato a pochi chilometri dal centro di Oporto: là è il regno del Porto, così come a sud Benfica e Sporting si dividono la passione dei tifosi. «Mio padre è del Benfica. Ma in famiglia non ci sono maggioranze. Mi ricordo delle mie cuginette che fingevano di essere del Benfica davanti al papà e poi mi dicevano: guarda Bruno che, a dire il vero, noi tifiamo per il Porto. Era divertente». Nessuno dello Sporting… «Tanti in Portogallo, anche perché i più grandi campioni che abbiamo avuto negli ultimi anni sono nati in quel club, da Cristiano Ronaldo a Figo». E Fernandes non ha mai avuto voglia di tornare in patria? «Mi fanno spesso questa domanda quando gioco con l’under 21. Io rispondo che in Italia mi trovo bene, ma che nel calcio non si può escludere nulla». Bruno è arrivato presto da queste parti… «Avevo 17 anni quando sono stato acquistato dal Novara. Allora il Boavista aveva in accordo di collaborazione con il Milan, ma venne a vederci il responsabile del settore giovanile del Novara, Borghetti, che mi notò e spinse per il mio trasferimento». Dopo pochi mesi la serie B. «Sfruttai un’occasione. Serviva un giocatore con le mie caratteristiche e così passai dalla Primavera alla prima squadra». Già, parliamo del ruolo: ancora adesso è difficile inquadrare Bruno Fernandes. «Sono una mezz’ala, ma faccio anche il trequartista. Da ragazzino, invece ho cominciato facendo il difensore centrale». De Canio sta cercando di metterla nelle condizioni di esprimere il suo talento. «Lo ringrazio per la fiducia. Dovrò ripagarlo sul campo». Magari tirando un po’ meglio i rigori. «Vero, devo imparare a tirarli meglio: Gabriel domenica stava per prendere anche il primo, ma non mi fanno paura le responsabilità». Parole da aspirante leader: a volte però sembra ancora un po’ troppo nervoso, frenetico. «Ho voglia di giocare, di rendermi utile. Ma non credo sia un difetto questo: devo solo controllare l’attesa. L’avvicinamento alle gare per me è lungo e snervante. Solo quando comincia la partita mi libero da questa ansia». Si vede ancora a lungo a Udine? «Qui sto bene, vogliono valorizzarmi. Perché no?».
(Fonte: Messaggero Veneto)