«Non è facile oggi – e non lo era nemmeno 12 anni fa – trovare chi è disponibile a rilevare una società di calcio». Lo dice Sergio Gasparin, mentre guarda il dorso di quel libro che lunedì scorso tutti hanno finito di leggere. Solo che lui, da direttore generale e amministratore delegato, quel libro aveva anche cominciato a scriverlo il 25 novembre 2004. Perché è a lui che gli inglesi dell’Enic chiesero di rientrare in società e di trovare un acquirente per il Vicenza Calcio. Sergio Cassingena dichiarò: “Gasparin si erse a garante della mia persona”. Si è mai pentito? Sorride. “A me dispiace sinceramente che questa avventura sia finita in maniera non positiva. Perché quando i risultati sportivi ed economici si rivelano disastrosi come accaduto in questo progetto, dispiace per la gente di Vicenza e per chi ha a cuore – me compreso – il Vicenza. Ma il mio dispiacere è anche per lo stesso Cassingena, che era partito con grande entusiasmo e poi ha fallito”. Secondo lei, per quale motivo? “La prima causa è il disaccordo di fronte al quale ci siamo trovati: io sono un convinto assertore della professionalità, mentre Cassingena preferiva il concetto di familiarità e questi sono due aspetti che difficilmente riescono ad andare d’accordo. In secondo luogo, al di là delle sue presunte strategie di riferimento, gli ha giocato contro il ruolo non positivo di persone a lui vicine che considerava affidabili e che poi sono stati i suoi primi detrattori”. È questa, quindi, la differenza principale che ha affrontato rispetto alla presidenza Dalle Carbonare? “Nel 1989, con il presidente Dalle Carbonare, stabilimmo un lungo progetto iniziato dall’ultimo posto in C1 e che poi ebbe contenuti sportivi straordinari ma anche economici. Quando lasciai, al 31 dicembre 1998 quella società aveva un attivo di bilancio e una capacità finanziaria liquida rilevante: il progetto aveva faticato all’inizio perché c’era una società e un club da rifondare. Ma se i principi sono comuni e se si segue coerentemente il progetto, l’esperienza insegna che si arriva. Più forte è una società, più forte è la squadra. E quella che creammo era fortissima nel progetto e negli uomini, basta pensare a tre di quelle persone che venivano da diverse esperienze ma avevano un comun denominatore: la professionalità. Paolo Bedin oggi è il direttore generale della Lega di B, Andrea Fabris è segretario generale del Sassuolo e Fabio Rizzitelli lo è stato per tanti anni all’Atalanta”. Lei e Cassingena vi siete sentiti recentemente? “No. Dopo che io ho lasciato Vicenza ci sono stati solo momenti casuali di incontro”. Il suo rapporto con la tifoseria vicentina, invece, com’è? “Straordinario, per stima e affetto. Ma devo dire che è una costante che mi sono portato dietro anche nelle altre città dove ho lavorato. Però a maggior ragione qui a Vicenza, e i tifosi avevano espresso il concetto migliore con uno striscione: “I migliori anni della nostra vita”. Non le hanno mai rinfacciato il fatto di aver portato Cassingena al comando? “No, perché forse sono stato io il primo a pagare da questa situazione. Al di là di quello che una persona dice, poi sono sempre le vicende pratiche a determinare le situazioni. Se, dopo che le nostre strade si sono divise, quel Vicenza fosse salito in A e lì fosse rimasto adesso sarei io quello che aveva sbagliato perché non condividevo una certa progettualità. Ma sono i risultati che dicono chi aveva ragione e chi torto. E la gente di Vicenza ha avuto modo di vederlo”. Il nuovo presidente del Vicenza ora è Alfredo Pastorelli. Lo conosce? “L’ho conosciuto professionalmente quando ero d.g. e a.d. al Vicenza e lui era titolare di un’agenzia assicurativa che assisteva alcune aree della società. Inoltre, aveva la tessera in tribuna d’onore come fedelissimo. Conosco molto bene Marco e Vittoria Franchetto, che stimo e apprezzo. Non conosco invece la famiglia Tesoro”. Ha seguito le vicende del cambio societario? “Sì, con attenzione. E dalle prime dichiarazioni mi sembrano partiti col piede giusto: evitare proclami trionfalistici è un buon viatico per il rapporto con il territorio. Vicenza è una provincia che vive di calcio, è un intero territorio che si stringe attorno alla squadra e che è reduce da anni e anni di delusioni: basta nulla per infiammarlo, ma sarebbe pericolosissimo. Il secondo aspetto che approvo è la volontà di risanare la disastrata situazione economica. Un progetto a lunga scadenza come sembra essere questo non può che passare per una ristrutturazione e una sana gestione dal punto di vista economico e finanziario, attraverso la riduzione del monte ingaggi e l’attività di ricerca e selezione di ragazzi giovani. Ma devono essere giovani bravi, e in questo l’attività di scouting è fondamentale per garantire il contenimento nella voce “spesa del personale”. Ci sono invece, secondo lei, degli aspetti negativi? “L’unica area di difficoltà che vedo è che è una struttura di cordata, e in una realtà opinabile come è quella del calcio spesso questo tipo di situazioni che coinvolgono più anime portano a visioni strategiche diverse. Io mi auguro però che l’interesse per il Vicenza prevalga sui personalismi”. Il d.s. Tesoro ha dichiarato: “Si devono abbattere i costi”. Cosa si sente di dire ai tifosi che temono uno smantellamento della squadra? “La gente di Vicenza è appassionata ma anche intelligente, è un pubblico che si rende conto che la società ha bisogno di solidità dal punto di vista progettuale ed economico. Se i nuovi proprietari fossero arrivati con “tutto e subito” sarebbe stato l’ennesimo rischio. Umilmente consiglio di creare grandi basi di riferimento in termini qualitativi per poi migliorare di anno in anno”. Consiglia cioè di cercare i nuovi Lopez, Di Carlo e Viviani? “I giocatori con il fuoco sacro si trovano, ma non per definizione: Lopez giocava nell’Andria ed era di Roma, non si sentiva la maglia biancorossa addosso al momento della firma. Ma è stato un giorno dopo giorno. La squadra diventa tale quando i valori sono i medesimi e agli esempi dati dall’alto seguono azioni conseguenti. Di recente, quando ci siamo sentiti per il suo compleanno, Giò mi ha detto: “Direttore, si ricorda quando al posto di una firma bastava la sua stretta di mano?”.
(Fonte: Giornale di Vicenza)